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[Io Donna, Corriere della Sera 15/11/2008]

«CAMORRA CITY»? PEGGIO DELL’IRAQ

CASERTA – Saranno i muri alti, le corti interne delle villone che ospitano le grandi famiglie della camorra casalese: opulente al loro interno, ma chiuse su se stesse, veri fortini che ricordano quelle delle campagne afghane, o quelle sparse nell’Iraq meridionale verso il delta del Tigri e dell’Eufrate. Oppure saranno l’omertà diffusa, il senso di rassegnata impotenza tra gli onesti, l’idea che se appartieni a un clan non ne puoi uscire, che anche un agente delle forze dell’ordine è in qualche modo condizionato dalle leggi del sangue. O, ancora, l’assenza dello Stato, l’impressione che le regole le detti il più forte, chi sa incutere più paura. Sta di fatto che a girare nei borghi maleodoranti di discariche, fiumi inquinati e quartieri costruiti nel caos contro le più elementari regole urbanistiche tra la periferia di Caserta, Casal di Principe, Castel Volturno e Sessa Aurunca, viene automatico pensare ai Paesi disastrati del Terzo Mondo, alle zone di crisi in Medio Oriente, al terrore iracheno e la guerra afghana. «Con una differenza però. Qui è ancora peggio che a Nassiriya nel 2004. Là almeno gli iracheni ci dicevano grazie quando noi militari riuscivamo a catturare un bandito e portare un po’ d’ordine. Qui neppure quello. Nel Casalese ogni rappresentante dello Stato è considerato un nemico, sempre e comunque. A noi carabinieri qui nessuno dice grazie» spiega con lo stile diretto che lo contraddistingue il colonnello Carmelo Burgio, comandante dei carabinieri che operano in provincia di Caserta.

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